ASSOCIAZIONE CULTURALE "TEMPI NUOVI"

Blog di informazione e discussione sulle attività della associazione

giovedì 29 novembre 2007

Il nuovo libro di Luigi Tivelli

In un altro blog (www.dirittoalsapere.blogspot.com) abbiamo recensito il nuovo libro del mio amico Luigi Tivelli. Presento qui una rassegna stampa su come il libro è stato presentato su alcuni grandi organi di informazione nazionale.

Luigi Tivelli. Chi è Stato? Gli uomini che fanno funzionare l'Italia
Un libro molto atteso nella Roma politica

da Panorama
“Chi è Stato?”. Chi sono gli uomini che rappresentano al meglio lo Stato e “fanno funzionare l’Italia”? Quale il loro itinerario di formazione umana, intellettuale e professionale? Quali sono gli aspetti cruciali di alcune funzioni chiave dello Stato? Quale è il rapporto tra la carenza diffusa di senso dello Stato, la decadenza della politica, la crisi delle classi dirigenti e la caduta del senso civico? Cosa sta alla base di fenomeni come la guerra alla “Casta” e il “grillismo” e come reagire? Quali sono gli effetti dell’abbattimento del valore del merito e della concorrenza e quali sono le risposte possibili? Sono queste alcune delle domande cui il libro – decisamente unico nel panorama editoriale italiano – offre risposte nuove e molto significative. Un libro un po’ saggio, un po’ pamphlet, un po’ manuale, scritto con linguaggio plastico, a volte tagliente ma sempre lineare e comprensibile al largo pubblico, che ci accompagna fino al “cuore dello Stato” e alla scoperta dei nuovi fermenti della società italiana. (2007)

Corriere della Sera del 15 novembre 2007
E Letta parlò: «Sulle riforme vasta coalizione» «Dopo 13 anni infrango il silenzio Definire insieme le regole del gioco» MILANO Lo Stato è la sua fede, il silenzio la sua preghiera. E se Berlusconi è stato a lungo il suo datore di lavoro, le capacità di dialogo con l'opposizione e l'ecumenismo sono il suo mestiere quotidiano. Difficile trovare qualcuno che riesca a scalfire l'immagine che Gianni Letta ha creato intorno a sé in 13 anni di lavoro tenace e certosino. «Il monumento vivente della differenza tra il fare e il parlare» (copyright di Pierluigi Bersani) viene regolarmente omaggiato a destra e a sinistra, ricevendo attestati di stima trasversali, da Montezemolo a Epifani, da Veltroni (che lo vorrebbe in un governo di centrosinistra) a Parlato (che visse con lui i giorni drammatici del sequestro di Giuliana Sgrena). Tutt'al più qualche ironia sugli eccessi di compostezza e «zuccherosità». O qualche dubbio che tanta «cortesia» sia davvero assimilabile a «bontà politica»: «Anche quando si deve uccidere un uomo disse una volta non costa nulla essere gentili». Solo Bettino Craxi riuscì a definirlo, in un eccesso d'ira, «insolente». E Lucio Colletti spiegò ironicamente che «i suoi nemici mortali sono gli spigoli dei tavoli». Ora, dopo anni di ostinato silenzio, Letta decide di uscire allo scoperto in un libro di Luigi Tivelli, Chi è Stato Gli uomini che fanno funzionare l'Italia (Rubbettino - Rai Eri). Una lunga intervista, nella quale racconta di sé, ma soprattutto lancia una proposta destinata a fare molto discutere. Letta chiede alle parti politiche di creare «una vasta coalizione» per le riforme istituzionali e invita gli italiani a «riscoprire la passione civile»: «Occorre definire insieme le regole del gioco, risolvere alcuni dei problemi fondamentali dai quali dipende il futuro del Paese. Questo l'appello che mi piacerebbe sentire con una voce sola, destra e sinistra per una volta insieme». Servitore dello stato «Per la prima volta, caso unico in 13 anni, spiega ho accettato di parlare del mio lavoro a Palazzo Chigi, infrangendo la regola di riserbo e di silenzio che mi ero dato». Letta si riconosce appieno nella figura del civil servant, di cultura anglosassone, o nei grand commis dell'esperienza francese. I nostri «grandi servitori dello Stato»: «Non ho mai fatto vita di Partito, né mi sono mai presentato alle elezioni. E ho rinunciato al perverso gioco delle agenzie che isterilisce il nostro lavoro». Berlusconi chiese il suo aiuto nel '94, ma Letta non condivise la sua scelta di scendere in campo. Restò in azienda con Confalonieri e solo più tardi si decise ad affiancarlo. Ma sempre con spirito bipartisan: «Perché ho sempre concepito e svolto il mio lavoro come istituzionale e non politico». E anche perché, a quanto si racconta, il presidente Scalfaro così si rivolse a Berlusconi: «Non si sogni di andare a Palazzo Chigi senza l'aiuto di Gianni». Uomo all'antica, specialista in diplomazia verbale ma anche in concretezza, Letta racconta il suo debito nei confronti di alcuni uomini dell'impresa privata: «Enrico Pozzani, Giorgio Schanzer e Carlo Pesenti. Pozzani, un imprenditore milanese che alla capacità manageriale univa una forte spiritualità, fu per tanti anni il Presidente dei Cavalieri del Lavoro. Avrebbe voluto che lasciassi il giornale (il Tempo) per andare a lavorare con lui». E poi Schanzer, «discendente di un'antica famiglia che portava nel sangue i canoni del buon governo dell'Imperatrice Maria Teresa e che aveva dato all'Italia un non dimenticato Governatore della Banca d'Italia». Infine Pesenti: «Da lui ho imparato il valore dell'impegno, della tenacia e un'inesauribile voglia di fare. Tutti requisiti che lo hanno portato ad essere in quegli anni, con Agnelli, la personalità più rappresentativa dell'industria italiana». La sacralità del Parlamento Letta racconta di aver «visto da vicino la classe politica della Prima e della Seconda repubblica». E qualche nostalgia traspare. Per esempio per quella «compostezza austera, ispirata e suggerita dalla solennità del luogo» che si respirava allora: «Quando entravi in Parlamento sentivi che eri nel cuore delle Istituzioni, il simbolo e la sede della rappresentanza democratica». Altri tempi, sospira Letta: «Oggi si entra e si esce dall'Aula senza cravatta e magari in jeans e maglietta, con i sandali. Ti accompagna un vociare e un disordine» che hanno fatto perdere «la sacralità del luogo». Verrebbe da chiedersi, dice, «se non sia anche qui la differenza tra la Prima e la Seconda repubblica. E come meravigliarsi allora di quel modo chiassoso e irriverente, spesso rissoso, che caratterizza gli scontri tra maggioranza e opposizione». E qui sta il nodo del mandato in terra di Gianni Letta, che ha deciso di intervenire proprio ora, in modo così forte, perché «la situazione del nostro Paese è drammatica. E quando la patologia altera profondamente un sistema, è necessario un intervento drastico per ripristinare l'ordinato svolgimento delle funzioni». Per questo auspica «una vasta coalizione, con un programma ben definito proprio e solo per restituire il sistema a una corretta fisiologia democratica che consenta, nell'alternanza, il formarsi di esecutivi in grado finalmente di governare un Paese seriamente riformato e capace perciò di competere liberamente in Europa». Il Gran Ciambellano delle riforme sa che evocare «una vasta coalizione» e una «coesione politica nazionale» produce spesso una reazione negativa: «Ma quei nodi bisogna scioglierli insieme. Non vorrei indicare formule politiche, o soluzioni di larghe intese. E tanto meno evocare lo spettro dell'inciucio, come fu ingiustamente catalogato il tentativo limpido avviato ai tempi della Bicamerale». Letta, per chiarire il raggio d'azione, ricorre alla metafora calcistica: «Mai un romanista diventerà laziale. Eppure nessuno, neanche il tifoso più accanito, ha mai gridato all'inciucio se e quando la sua squadra o la sua società contribuisce, insieme alle altre, a definire le regole del gioco, a stabilire il numero e le caratteristiche dei partecipanti, l'organizzazione del campionato, il campo e l'ora della sfida». Fermare il declino Uscendo dalla metafora, Letta ricorre a un esempio concreto: «Va di moda di questi tempi, guardare con simpatia (e invidia) alla Francia di Sarkozy. Prendiamo allora esempio da lui e facciamo qualcosa di simile a quello che è stato fatto con il gruppo di Jacques Attali. A chi gli chiedeva se il modello e lo spirito di quel gruppo fosse lo stesso della grande coalizione di Angela Merkel, Attali rispondeva così: Credo di sì, tutto dipende dalle personalità coinvolte... Certi problemi non possono essere affrontati su base ideologica"». Insomma, la commissione francese e la grosse koalition tedesca sono per Letta «una bella lezione, un esempio da imitare, un modello da esportare». A meno di non volersi avviare «verso un progressivo e meludibile declino». Perché l'Italia «ha il terzo debito pubblico del mondo, una pubblica amministrazione vecchia e obsoleta, un aumento costante della spesa pubblica che nessuno riesce a imbrigliare, un sistema istituzionale lento e complicato». Letta ricorda le giuste denunce di Sabino Cassese e di Pietro Ichino: «Ma a nulla sono valsi i richiami e le denunce, neanche quelli delle autorità indipendenti». Allora occorre trovare una soluzione condivisa, «forse l'unica in grado di combattere l'antipolitica e il populismo, scorciatoie che non ci porteranno lontano». Resta da capire se le forze politiche, a cominciare da Silvio Berlusconi, vorranno ascoltare il campanello d'allarme suonato da Letta. di Alessandro Trocino

Libero Mercato del 15 novembre 2007
"CHI È STATO?" Da Gifuni a Catricalà fino a G. Letta in un libro i segreti dei grand commis "Chi è Stato?" Non si tratta dell'ennesima ricerca di senatori più o meno fedeli alla maggioranza, ma del titolo di un libro di Luigi sugli "uomini che fanno funzionare l'Italia". Sarebbero una decina di grand commis tra i quali Gaetano Gifuni, Antonio Catticalà, Corrado Calabrò e, ciliegina imprevista sulla torta, Gianni Letta. Già nei Palazzi romani circolano gossip, piccoli boatose assente certezze sui contenuti del libro, che però sta ben chiuso, in vista dell'uscita, il 16 novembre, nei cassetti dell'Autore e dell'Editore. Sulla base di qualche "parolina" filtrata dagli uffici della Rubbettino ci si deve chiedere "Chi è stato" a fare outing. Pare infatti che Caricalà, ora Garante della Concorrenza, ma già Segretario generaledi Palazzo Chigi, e come tale addetto anche alle nomine di Governo faccia, nel libro, una dura requisitoria contro il sistema delle spoglie nelle nomine nell'Amministrazione e negli Enti pubblici. Calabrò, presidente AGCOM critica con fermezza la qualità e le modalità di acquisto dl tanti programmi televisivi. Quanto a Letta, il titolo del capitolo a lui riservato sarebbe «un fermo campanello d'allarme alla politica, alle classi dirigenti e al Paese». Sembra che il super consigliere di Berlusconi formuli una proposta del tutto originale, guardando con attenzione alle aperture a sinistra di Sarkozy in Francia.

Da Il Velino

Roma, 16 ott (Velino) - Chi sono gli uomini che rappresentano al meglio lo Stato e fanno funzionare l’Italia? Quale è il rapporto fra la carenza diffusa di senso dello Stato, la decadenza della politica, la crisi delle classi dirigenti e la caduta del senso civico? Cosa sta alla base di fenomeni come la guerra alla “Casta” e il “grillismo”? Quali sono gli effetti dell’abbattimento del valore del merito e della concorrenza e quali sono le risposte possibili? Sono queste alcune delle domande a cui tenta di offrire risposte nuove e significative Luigi Tivelli con il libro, prossimo all’uscita, Chi è Stato? Gli uomini che fanno funzionare l’Italia (Rubbettino –Rai Eri). Nel saggio introduttivo l’autore intercala in un’analisi stringente dei limiti dello Stato (visto anche nel suo rapporto con i cittadini), della politica, delle classi dirigenti, alcuni neologismi, forse divertenti, il cui significato non è però certo divertente per la nostra democrazia. Evidenzia, a esempio, che i veri partiti che dominano la società italiana sono il Pnf (per fortuna non il Partito nazionale fascista, ma il Partito nazionale dei favori, che vanno dalle semplici raccomandazioni fino alle tangenti), che vince regolarmente lo scontro con il minoritario Pedd (Partito europeo dei diritti e dei doveri), con gli esiti che ne conseguono per il paese, a cominciare dall’abbattimento dei principi del merito e della concorrenza.
Quanto al modo vigente di far politica, l’autore lo racchiude nella parola “cicalecciocrazia”, visto che spesso dai Palazzi si sprecano, come appunto fanno le cicale, parole a iosa nel gioco perverso di specchi fra politica e giornalismo. Quanto ai singoli capitoli del libro, in ognuno di essi Tivelli fa emergere la voce di una serie di autorevoli servitori dello Stato (come recita il sottotitolo “gli uomini che fanno funzionare l’Italia”). Ne risulta pertanto sia un ritratto originale del protagonista di volta in volta coinvolto, sia una finestra da cui osservare i limiti, i vincoli e i punti di forza relativi alle questioni di competenza (ma non solo queste) di ogni singolo personaggio. È così che nel libro si ritrovano le voci di alcuni grandi civil servant adusi allo stile istituzionale del silenzio, come ad esempio Gaetano Gifuni, ex segretario gene­rale al Quirinale, il prefetto Carlo Mosca, e, pur con le sue peculiarità e connotazioni, Gianni Letta. Sono coinvolti inoltre ex civil servant da tempo entrati in politica come Antonio Maccanico e Lamberto Dini, che però non hanno perso l’impronta originaria. Da sempre alla ricerca di uno Stato – casa di vetro, l’autore apre finestre significative sulla società, anche con l’ausilio di uomini del rango di Antonio Catricalà e Corrado Calabrò, presidenti di Autorità indipendenti, lanciando lo sguardo su questioni cruciali di loro competenza, quali quelle della concorrenza e del sistema televisivo e delle telecomunicazioni.
La lucida analisi e il fermo campanello di allarme di Gianni Letta alla classe politica, a tutte le classi dirigenti e al paese, da parte di un uomo che per la prima volta rompe il suo consueto stile istituzionale del silenzio sulle questioni politico-istituzionali, conclude significativamente il libro. Merito, concorrenza, coesione politica e sociale, autoriforma della classi dirigenti, efficienza e imparzialità dell’Amministrazione, recupero forte del senso dello Stato, che solo può contribuire ad una reviviscenza di un vero senso civico diffuso (spesso sostituito da forme di senso cinico), una sana etica pubblica e privata, sono alcuni dei valori, delle opzioni, e delle priorità cruciali per il paese, che attraversano il coro di voci racchiuso nel libro. Il libro, unico nel panorama editoriale italiano, è un po’ un saggio, un po’ un pamphlet, un po’ un manuale, scritto con linguaggio plastico, a volte tagliente, ma sempre lineare e comprensibile al largo pubblico, che ci accompagna fino al “cuore dello stato” e alla scoperta dei nuovi fermenti della società italiana.


Riforme: Gianni Letta, serve vasta coalizione
15 novembre 2007 alle 10:14 — Fonte: repubblica.it
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Gianni Letta chiede alle parti politiche di creare “una vasta coalizione” per le riforme istituzionali e invita gli italiani a “riscoprire la passione civile.
Occorre definire insieme le regole del gioco, risolvere alcuni dei problemi fondamentali dai quali dipende il futuro del Paese. Questo l’appello che mi piacerebbe sentire con una voce sola, destra e sinistra per una volta insieme”. L’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Berlusconi parla in una intervista nel libro di Luigi Tivelli, “Chi è Stato — Gli uomini che fanno funzionare l’Italia”, anticipata dal Corriere della sera. Per Letta la commissione francese voluta dal Presidente Sarkozy e la grosse koalition tedesca sono “una bella lezione, un esempio da imitare, un modello da esportare.
Tutto dipende dalle personalità coinvolte… Certi problemi non possono essere affrontati su base ideologica”, a meno di non volersi avviare “verso un progressivo e ineludibile declino”. Perché l’Italia “ha il terzo debito pubblico del mondo, una pubblica amministrazione vecchia e obsoleta, un aumento costante della spesa pubblica che nessuno riesce a imbrigliare, un sistema istituzionale lento e complicato”.

giovedì 15 novembre 2007

Umbria, l'open source è legge

Si respira un'aria di entusiasmo tra i consiglieri umbri, la Giunta regionale ha infatti finalmente dato attuazione a quella legge sul software libero approvata ormai più di un anno fa. "Con lo stanziamento dei primi 100mila euro da parte della Giunta e con la predisposizione del regolamento che individua le modalità di assegnazione dei fondi, la legge sull'open source diventa pienamente operativa", dichiara Oliviero Dottorini (Verdi e civici), che ha proposto e portato avanti la legge.Dopo l'approvazione, proprio Dottorini con gli altri soggetti interessati ha presentato il bando di finanziamento al quale da qui al 30 novembre potranno fare riferimento scuole, università ed enti pubblici interessati a catturare dei fondi per l'esplicito scopo di introdurre o potenziare l'utilizzo di software libero nelle proprie strutture. Ora il problema, naturalmente, è fare in modo che i progetti vengano effettivamente proposti.Le premesse ci sono tutte, spiega Dottorini, anche a livello centrale. "Negli uffici del Consiglio regionale - ha spiegato Dottorini - sono già state installate e sono in via di sperimentazione 90 postazioni che utilizzano Open office al posto del programma della Microsoft: si tratta, per ora, di un piccolo risparmio, circa 13 mila euro complessivi. Sono fondi che nel breve periodo dovranno essere reinvestiti nella formazione; nel medio periodo però si arriverà ad un risparmio netto per le casse della Regione e delle pubbliche amministrazioni che adotteranno questo sistema. La Regione Umbria spende circa 2,5 milioni di euro ogni 4 anni per le licenze Microsoft: l'indicazione che viene dalla legge (e dal regolamento attuativo) è di sostituire dove possibile i programmi proprietari con quelli open source. L'Umbria è una delle prime a sperimentare questo percorso, che inevitabilmente anche altre Regioni dovranno seguire".
Dei 500mila euro in ballo, la gran parte, 400mila, sono dedicati alle scuole, all'acquisizione di computer dotati di software libero. Secondo Maria Prodi, assessore, tra i vantaggi della diffusione del software a codice aperto nelle scuole c'è anche la possibilità di "utilizzare meglio le macchine dei laboratori, anche se queste non sono molto recenti e aggiornate. Di ciò si avvantaggeranno senz'altro gli studenti che potranno anche contare su una formazione ulteriore in campo informatico".Tra i progetti in corso rilevanti per la "vita a codice aperto" dell'Umbria, va senz'altro citato quello di supporto e sostegno alla migrazione verso l'open source attivato dall'Università degli Studi. In generale, i progetti finanziabili dal bando "sono quelli finalizzati allo sviluppo, diffusione e conoscenza del software open source, all'utilizzo consapevole di strumenti informatici liberi, alla diffusione di nuove tipologie di licenze d'uso di prodotti software". Il bando prevede la copertura delle spese relative "alla progettazione esecutiva, all'acquisto e al noleggio delle attrezzature, alla formazione e alla diffusione del progetto e dei risultati". Per gli impegni di spesa inferiori ad 8 mila euro è previsto un cofinanziamento del 70 per cento che scende al 40 per cento per la quota che eccede gli 8 mila euro (fino ad un massimo di 15 mila).

dal sito www.punto-informatico.it

lunedì 5 novembre 2007

Il passato? Lasciatelo agli storici

Le coincidenze del calendario hanno indotto a mettere in relazione la beatificazione di 498 martiri della guerra civile spagnola, celebrata dal papato, con l’imminente approvazione della «Legge della memoria storica» da parte delle Cortes. Difficile, in realtà, pensare che si tratti di una risposta della Chiesa alla volontà di Zapatero di cancellare dal paesaggio urbanistico i simboli del franchismo. L’itinerario di un processo di beatificazione ha tempi e modalità che sfuggono alla contingenza politica. Com’è difficile pensare che l’esecutivo socialista voglia usare la legge come strumento di pressione per indurre i vescovi iberici a quella richiesta di perdono per l’appoggio della Chiesa alla crociata antirepubblicana cui si sono finora sottratti. La «Legge della memoria» vuole solo rinsaldare la comunità nazionale attorno ai valori costituzionali.Eppure la coincidenza sollecita qualche riflessione sull’odierno uso pubblico della memoria. Il problema è da tempo oggetto di discussione. Il governo francese ha di recente emanato una legge che punisce i negatori del genocidio armeno. Alcune legislazioni europee prevedono pene per i negazionisti della Shoah. Solo l’opposizione di un nutrito gruppo di storici ha finora impedito che avesse corso anche in Italia una proposta del guardasigilli Mastella che andava nella stessa direzione. Da quando, in occasione del Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II ha lanciato l’operazione definita «purificazione della memoria» - la solenne espressione di pentimento per l’utilizzazione della violenza al fine di imporre la verità cattolica - si sono moltiplicati in tutto il mondo i casi in cui governi e parlamenti sono intervenuti a disciplinare, sulla base di sanzioni, la corretta interpretazione del passato.Il dato ha una sua oggettiva motivazione: la democrazia contemporanea, segnata da un’ultramodernità che fa del singolo individuo l’unico depositario delle regole dell’etica sociale, sembra sempre di più perdere la capacità di fornire ragioni per la vita collettiva. In tale situazione, fissare per legge l’interpretazione di quel passato che si ritiene fondante del presente non funge da surrogato al venir meno di collanti per il consorzio civile? Il nuovo protagonismo politico del papato - che insiste sul cristianesimo come fattore identitario dell’Occidente attraverso l’evidente forzatura di un richiamo giuridico alle «radici cristiane» dell’Europa - sembra avere una motivazione analoga: agli occhi del Vaticano è il riconoscimento pubblico della religione cristiana come fondamento della socialità a fornire la soluzione alla frantumazione delle comunità.La questione è senza dubbio delicata e complessa. Se è indubbio che senza memoria non esiste consapevolezza, alcune elementari distinzioni, che appartengono al farsi stesso della moderna società laica e democratica, non possono essere cancellate. In primo luogo, la ricostruzione del passato non può essere definita per legge: tocca agli storici - che pure negli ultimi decenni hanno spesso ceduto ai più sfrenati usi politici della memoria, mettendo in crisi la loro stessa funzione e rilevanza sociale - approssimarsi a una descrizione di quanto è realmente successo sulla base dei metodi e degli strumenti che hanno elevato la storiografia a «scienza umana». In secondo luogo, spetta al potere politico favorire questo sforzo conoscitivo, garantendo le migliori condizioni per il suo svolgersi, ma anche la sua completa autonomia. Gli interventi legislativi, statali o ecclesiastici, non possono che aumentare il diffuso disagio della memoria e rendere ancora più difficile l’individuazione delle ragioni effettive della convivenza civile.

Daniele Menozzi
ordinario di Storia contemporanea alla Scuola Normale di Pisa