ASSOCIAZIONE CULTURALE "TEMPI NUOVI"

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lunedì 5 novembre 2007

Il passato? Lasciatelo agli storici

Le coincidenze del calendario hanno indotto a mettere in relazione la beatificazione di 498 martiri della guerra civile spagnola, celebrata dal papato, con l’imminente approvazione della «Legge della memoria storica» da parte delle Cortes. Difficile, in realtà, pensare che si tratti di una risposta della Chiesa alla volontà di Zapatero di cancellare dal paesaggio urbanistico i simboli del franchismo. L’itinerario di un processo di beatificazione ha tempi e modalità che sfuggono alla contingenza politica. Com’è difficile pensare che l’esecutivo socialista voglia usare la legge come strumento di pressione per indurre i vescovi iberici a quella richiesta di perdono per l’appoggio della Chiesa alla crociata antirepubblicana cui si sono finora sottratti. La «Legge della memoria» vuole solo rinsaldare la comunità nazionale attorno ai valori costituzionali.Eppure la coincidenza sollecita qualche riflessione sull’odierno uso pubblico della memoria. Il problema è da tempo oggetto di discussione. Il governo francese ha di recente emanato una legge che punisce i negatori del genocidio armeno. Alcune legislazioni europee prevedono pene per i negazionisti della Shoah. Solo l’opposizione di un nutrito gruppo di storici ha finora impedito che avesse corso anche in Italia una proposta del guardasigilli Mastella che andava nella stessa direzione. Da quando, in occasione del Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II ha lanciato l’operazione definita «purificazione della memoria» - la solenne espressione di pentimento per l’utilizzazione della violenza al fine di imporre la verità cattolica - si sono moltiplicati in tutto il mondo i casi in cui governi e parlamenti sono intervenuti a disciplinare, sulla base di sanzioni, la corretta interpretazione del passato.Il dato ha una sua oggettiva motivazione: la democrazia contemporanea, segnata da un’ultramodernità che fa del singolo individuo l’unico depositario delle regole dell’etica sociale, sembra sempre di più perdere la capacità di fornire ragioni per la vita collettiva. In tale situazione, fissare per legge l’interpretazione di quel passato che si ritiene fondante del presente non funge da surrogato al venir meno di collanti per il consorzio civile? Il nuovo protagonismo politico del papato - che insiste sul cristianesimo come fattore identitario dell’Occidente attraverso l’evidente forzatura di un richiamo giuridico alle «radici cristiane» dell’Europa - sembra avere una motivazione analoga: agli occhi del Vaticano è il riconoscimento pubblico della religione cristiana come fondamento della socialità a fornire la soluzione alla frantumazione delle comunità.La questione è senza dubbio delicata e complessa. Se è indubbio che senza memoria non esiste consapevolezza, alcune elementari distinzioni, che appartengono al farsi stesso della moderna società laica e democratica, non possono essere cancellate. In primo luogo, la ricostruzione del passato non può essere definita per legge: tocca agli storici - che pure negli ultimi decenni hanno spesso ceduto ai più sfrenati usi politici della memoria, mettendo in crisi la loro stessa funzione e rilevanza sociale - approssimarsi a una descrizione di quanto è realmente successo sulla base dei metodi e degli strumenti che hanno elevato la storiografia a «scienza umana». In secondo luogo, spetta al potere politico favorire questo sforzo conoscitivo, garantendo le migliori condizioni per il suo svolgersi, ma anche la sua completa autonomia. Gli interventi legislativi, statali o ecclesiastici, non possono che aumentare il diffuso disagio della memoria e rendere ancora più difficile l’individuazione delle ragioni effettive della convivenza civile.

Daniele Menozzi
ordinario di Storia contemporanea alla Scuola Normale di Pisa

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